Le staminali per il Parkinson

Le cellule si trasformano in neuroni dopaminergici

Uno studio apparso su Nature Communication riaccende la speranza di una cura per il Parkinson basata sull'utilizzo delle cellule staminali. In passato, altri tentativi avevano fallito perché non avevano considerato le capacità infinite delle cellule, che possono trasformarsi in qualsiasi tipo di neurone, generando quindi anche quelli che non servono per i malati.
Un gruppo di ricercatori dell'Università di Aarhus diretti da Mark Denham ha invece pubblicato i risultati di una ricerca chiamata DANDRITE, con la quale sono riusciti a reindirizzare le cellule staminali affinché si trasformino proprio nei neuroni che servono ai malati di Parkinson.
Grazie a una tecnica sviluppata in laboratorio, le cellule sono state ingegnerizzate in staminali LRUSC, acronimo di lineage-restricted undifferentiated stem cells, cioè cellule staminali indifferenziate a genesi limitata che sono strettamente indirizzate a produrre solo e soltanto i neuroni dopaminergici mesencefalici che mancano in caso di Parkinson. A 8 giorni dall'impianto nel topo parkinsonizzato, le funzioni motorie andate perse si sono normalmente riattivate.
I ricercatori danesi hanno riconosciuto nel lavoro del giapponese Shinya Yamanaka dell'Università di Kyoto l'origine della loro ispirazione. Nel 2006, il ricercatore pubblicò su Cell uno studio sulla riprogrammazione genetica basata su 4 geni master che possono ringiovanire le cellule adulte in cellule embrionali.
«Per quanto accattivante, il risultato dei colleghi danesi per ora va preso con le pinze - dice al Corriere della Sera professor Alfredo Berardelli della Sapienza di Roma, past president della Società Italiana di Neurologia e da sempre figura di riferimento per la malattia di Parkinson -. La storia degli ultimi 40 anni ci insegna come la strada che li ha portati a queste cellule staminali pre-programmate sia lastricata da scoperte e smentite e sappiamo che non sempre ciò che funziona sul topo poi è altrettanto valido nell'uomo. Certamente potrebbe essere una svolta, perché invece di aggiustare il danno a valle si potrebbe agire a monte, riprogrammando il principale primum movens della malattia di Parkinson. Nel frattempo i pazienti possono comunque avvalersi dei progressi terapeutici e diagnostici fatti negli ultimi anni, che già oggi consentono di individuare prima la malattia e quindi instaurare prontamente i trattamenti con risultati migliori».

07/12/2023 09:47:57 Andrea Sperelli


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