(2° pagina) (Torna alla 1° pagina..) che hanno sviluppato la sclerosi multipla durante il periodo di studio, 800 hanno mostrato anticorpi specifici per EBV nel sangue. I ricercatori hanno eseguito diversi test per cercare di capire se altri virus avessero una correlazione altrettanto evidente con la malattia, ma EBV era l’unico a presentare un nesso del genere.
Leggendo i risultati dello studio sorge spontanea una domanda: perché solo una piccola parte delle persone contagiate con il virus finisce per sviluppare la sclerosi multipla?
«Invertiamo i dati - propone Roberto Furlan, neurologo esperto di Sclerosi multipla, direttore dell’Istituto di neurologia sperimentale all’ospedale San Raffaele di Milano - e vediamo che su poco meno di mille persone con EBV solo una sviluppa la sclerosi multipla. Il virus è una condizione necessaria ma non sufficiente».
Gli scienziati di Harvard hanno però scoperto anche un’altra cosa: in chi ha sviluppato la sclerosi sono stati individuati segni di danni ai nervi che si sono verificati dopo l’esposizione a EBV ma prima della diagnosi ufficiale di sclerosi multipla.
Nello specifico, è stata osservata una proteina chiamata catena leggera del neurofilamento, le cui concentrazioni aumentano nel sangue in seguito al danno alle cellule nervose.
Nel siero delle persone che hanno sviluppato la sclerosi multipla, la proteina è aumentata, ma soltanto dopo l’esposizione a EBV. Nel gruppo di controllo la concentrazione della catena leggera del neurofilamento nel sangue è rimasta la stessa prima e dopo aver contratto l’EBV, un risultato in linea con l’idea che l’esposizione a EBV non fa scattare la sclerosi multipla in tutti, ma solo nelle persone suscettibili.
«Come per tutte le malattie autoimmuni entrano in gioco più concause. Esistono altri co-fattori genetici e ambientali», spiega Furlan. «Non è una malattia genetica, infatti non sconsigliamo ai pazienti di avere figli. Basti pensare che la concordanza di malattia in gemelli omozigoti, identici, è relativamente bassa, sotto il 7%. Significa che nel 93% dei casi avere lo stesso Dna non fa venire la malattia, oltre al fatto che i gemelli condividono l’ambiente. Sono stati comunque identificati finora 140 geni in pazienti con sclerosi multipla che da soli hanno un impatto molto ridotto ma presi insieme contribuiscono alla predisposizione alla malattia. Fumo e bassi livelli di vitamina D sono altri fattori predisponenti oltre che il genere: per ogni maschio con sclerosi multipla ci sono 3,8 femmine».
In altre parole, in un contesto favorevole per l’insorgenza della malattia, il virus di Epstein-Barr potrebbe rappresentare la miccia che innesca lo sviluppo della sclerosi multipla. Si potrebbe ipotizzare l’uso di un vaccino per impedire l’accensione della miccia.
«L’Epstein-Barr, come tutti gli herpesvirus, è molto complesso perché muta molto e finora non è stato possibile creare vaccini specifici nonostante l’impegno degli scienziati. Ora vediamo se la nuova tecnologia a mRNA può dare un valido contributo alla ricerca», conclude Furlan.
Moderna, una delle due aziende insieme a Pfizer ad aver prodotto un vaccino anti-Covid a base di mRna, ha avviato uno studio clinico per la messa a punto di un vaccino contro Epstein-Barr. Allo studio prenderanno parte 272 adulti sani fra i 18 e i 30 anni e avrà come obiettivo la verifica della sicurezza dell’approccio. Nel giro di un paio di anni si potrebbe arrivare già a un vaccino autorizzato grazie alla maggiore velocità che caratterizza la tecnologia a mRna.
Restano ancora diversi problemi. Infatti l’origine della SM è ancora dibattuta, ed è probabile che possano concorrere diversi fattori. Da un lato si studia la predisposizione genetica alla malattia; dall’altro abbiamo fattori ambientali, come la carenza di
vitamina D, il fumo di sigaretta, il tipo di dieta e varie infezioni virali. Tutti fattori associati sui quali non vi è certezza.
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Notizie specifiche su: Epstein-Barr, virus, sclerosi, 17/07/2022 Andrea Piccoli


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