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alla 1° pagina..) e la valutazione di situazione di pre-diabete e diabete durante il Rotterdam Study sono stati utilizzati per il reclutamento dei partecipanti di questo nuovo studio. Durante gli 8 anni di follow-up, degli 8.452 partecipanti 1.100 hanno sviluppato un pre-diabete e 798 un diabete di tipo 2, mostrando un maggiore rischio di sviluppare la patologia diabetica in presenza di alti valori di TSH, anche all’interno dei normali parametri di riferimento. Alti valori di FT4, invece, si sono mostrati associati a un minor rischio di sviluppare diabete il tipo 2.
«Questo studio mostra chiaramente», spiega il Prof. Roberto Vettor, Direttore della Clinica Medica 3 e del Centro per lo Studio e per la Terapia Integrata dell'Obesità Laboratorio Endocrino-Metabolico Università di Padova, «l’influenza non solo di un ridotto funzionamento tiroideo ma anche di una funzionalità tiroidea al limite inferiore della normalità sull’incidenza di pre-diabete e diabete di tipo 2. I disturbi della tiroide e il diabete mellito sono i due disturbi endocrini più diffusi nella pratica clinica e mostrano frequentemente un'associazione clinica. La loro reciproca influenza può essere ricondotta al fatto che gli ormoni tiroidei contribuiscono alla regolazione del metabolismo energetico e dei carboidrati oltre che alla funzione pancreatica, mentre il diabete condiziona la funzionalità tiroidea in maniera variabile. La relazione tra queste patologie è un’interazione complessa. Nelle situazioni cliniche in cui vi è una resistenza all'insulina come l’obesità si può osservare un aumento volumetrico della ghiandola tiroidea. Inoltre, l'ipertiroidismo altera il controllo glicemico in soggetti diabetici e l'ipotiroidismo può aumentare la suscettibilità alle ipoglicemie complicando così la gestione del diabete trattato con insulina. L’insieme di questi dati ci suggerisce l’importanza di effettuare in tutti i pazienti con diabete uno screening per la funzionalità tiroidea. Alla luce dei recenti risultati emersi dal Rotterdam study un test di screening di funzionalità tiroidea dovrebbe essere proposto nelle persone con pre-diabete. La terapia sostitutiva, con levotiroxina (l’ormone sintetico della tiroide) potrebbe essere utile non solo nel ridurre la possibilità di una progressione della malattia tiroidea subclinica verso l’ipotiroidismo sintomatico, ma anche per ridurre l’evoluzione delle complicanze di malattie a importante impatto cardiovascolare quali l’aterosclerosi, l’obesità e il diabete di tipo 2 qualora a esse si associ una funzionalità tiroidea deficitaria anche se in maniera subclinica. Oggi le nuove formulazioni di levotiroxina, in soft gel e forma liquida, consentono la migliore personalizzazione e stabilità della cura. Considerando quindi le regole della medicina basata sulle evidenze, lo studio suggerisce un maggior impegno diagnostico e terapeutico anche nei pazienti con ipotiroidismo subclinico».
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23/06/2016 Arturo Bandini
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